Bruno Martinuzzi nasce a Turriaco (Gorizia) nel 1946. Fin da giovane manifesta una forte propensione verso l’espressione artistica, in particolare attraverso il disegno e la lavorazione dei metalli, linguaggi che presto diventeranno centrali nella sua ricerca.

Negli anni Sessanta si trasferisce a Milano per motivi di lavoro, entrando in contatto con il vivace ambiente culturale della città. Qui intraprende diverse esperienze professionali, tra cui la lavorazione dei metalli in fonderia artistica, dove affina competenze tecniche fondamentali. È proprio in questo contesto che, nel 1965, incontra Fausto Melotti: un incontro decisivo, da cui nasce una lunga collaborazione e un rapporto maestro-allievo che segnerà profondamente la sua formazione artistica.

Dal 1965 al 1977 Martinuzzi lavora fianco a fianco con Melotti, contribuendo alla realizzazione di molte sue opere. Frequentare lo studio in quegli anni significava immergersi in un clima di grande fermento creativo, dove ogni incontro poteva trasformarsi in uno scambio stimolante, in un’idea nuova, in un progetto condiviso. Martinuzzi si ritrova così circondato da alcuni tra i protagonisti più importanti del panorama artistico e culturale italiano del Novecento: Giovanni Carandente, Giò Ponti, Paolo Portoghesi, Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Michelangelo Pistoletto e molti altri. Quel contesto, vivo e ricco di suggestioni, contribuisce in modo decisivo alla maturazione del suo sguardo artistico.

Nel 1977 Martinuzzi si trasferisce nella provincia di Rovigo, dove tutt’ora vive e lavora, dedicandosi interamente alla propria ricerca. Qui sviluppa un linguaggio personale, fondato su una sperimentazione costante della materia e una riflessione sulla forma come equilibrio dinamico tra opposti.

Nelle sue opere utilizza materiali diversi, scelti per le loro caratteristiche evocative e costruttive: il legno (Venere Nera, 1970), il gesso (Conscio Subconscio), il plexiglass (La Sfera, 1970), il piombo fuso (Le Forche, 1968). Una parte centrale del suo percorso è dedicata al dialogo tra ottone e acciaio, che diventa cifra poetica e strutturale del suo lavoro. Opere come Gioco Ellittico (1968), L’Attraverso (1968), Direzione II° (1981) e Il Santo (2000) esprimono una visione scultorea fondata sul rapporto tra pieno e vuoto, luce e ombra, equilibrio e tensione.

L’opera di Bruno Martinuzzi si distingue per coerenza, rigore e originalità, testimoniando un percorso che attraversa la materia per arrivare a una forma essenziale, aperta e profondamente meditativa. 

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